Articolo scritto nel 2010 a seguito di un progetto sul recupero della memoria storica, Comune di Moncrivello: progetto Gocce di Memoria, Laboratorio della Fabula – Campus Lab.

Eseguire una ricerca sui manufatti popolari che incarnano non solo lo spirito religioso ma anche la più antica visione cosmogonica delle comunità rurali, significa provare ad uscire da una lettura stereotipata degli elementi presenti sul territorio per coniugarla alle simbologie dell’immaginario che ancora è possibile trovare nella popolazione anziana locale.
In questo contesto anche i piloni votivi, ampiamente presenti sul territorio piemontese, ne sono piena manifestazione.
Per poter però leggere oltre gli scarni mattoni rimasti, è necessario aver la capacità di fare letture a più livelli e di intersecarle fra loro: il livello storico, quello religioso (cattolico, cristiano e pre-cristiano, ovvero celtico/pagano), ed infine il livello folkorico.
In realtà i tre livelli interagiscono e non sono altro che espressioni manifeste di un unicum che è la cultura di una comunità, cultura che – nonostante la contemporanea globalizzazione – affonda ancora le sue radici in un passato fortemente rurale e legato all’intima relazione con la natura.
I piloni votivi possono così diventare tracce, segnavie (così come furono in passato) per indicarci – di nuovo – un nuovo modo di relazionarci con l’ambiente, un modo in cui l’immaginario e il senso del sacro possano tornare a dare forma e strutturazione al territorio.
Quella che segue è solo una piccola traccia che nasce da una veloce ricerca, con il solo obbiettivo di inquadrare meglio il soggetto sia dal punto di vista storico che religioso/folkorico.
TRACCE STORICHE E ORIGINI
I piloni votivi sono semplici costruzioni in mattone o pietra, piccole casette per onorare un santo protettore o più spesso la Madonna. Sono presenti sin dal Medioevo nella loro forma a piccola cappella, ma rappresentano la naturale evoluzione di precedenti forme di culto relativo al sacro nel territorio.
La loro origine si può far risalire alle popolazioni liguri-celtiche e alla loro abitudine di accatastare cumuli di pietra a colonna, quelli che si possono ancora oggi incontrare in montagna che vengono chiamati ometti o in piemontese Bounòm e che in celtico venivano chiamati Mongioie.
Mongioie in realtà deriva dal latino Mons Iovis o Monte di Giove e riporta probabilmente ad un’antica divinità celtico-ligure poi assimilata dai Romani nel loro Giove. Il nome Mongiove si ritrova un po’ dappertutto nelle Alpi Occidentali (Monjovet, Monjoux, passo dei Giovi, Pian di Gioé…).
Di quell’antica divinità non sono probabilmente rimaste tracce.
Il “Monte di Giove” è sostanzialmente il cumulo rituale di sassi eretto dai passanti sui valichi, dove ognuno deponeva religiosamente una pietra, devoto omaggio alla divinità del luogo, ringraziamento per la felice ascesa. Un uso, questo, che si ritrova anche in altri “luoghi alti” e considerati sacri, come le montagne e gli altopiani dell’Asia Centrale.
Il culto delle pietre è antico come l’uomo: un altro “avo” arcaico dei piloni votivi potrebbe essere senz’altro il masso erratico.
I “massi erratici” rappresentano la testimonianza diretta e più facilmente riconoscibile dell’antica presenza di un ghiacciaio e della sua straordinaria capacità di trasportare materiale per lunghe distanze. Sono veri e propri monumenti naturali e tali venivano considerati dall’uomo.
Non a caso ai massi erratici sono sempre state assegnate capacità miracolose e di guarigione.
Oggetto di culto sin dal Paleolitico, dove venivano incisi con “coppelle” e canaletti, in epoche successive continuarono ad essere venerate con incisioni di croci o con la costruzione nei pressi di cappelle o santuari (Sant’Antonio di Ranverso, per esempio).
Fiabe, leggende o ex voto mantenevano accesa la fiamma sacra.
Il culto delle pietre, chiamato dai Romani saxorum veneratio sopravvisse così fino ai giorni nostri nelle tradizioni e nel folklore popolare.
Il termine stesso “pilone” indica in realtà una “pila” ovvero un cumulo verticale, che si innalza dalla terra verso il cielo (dal Dizionario di Italiano Sabatini Coletti: pila di pietre o mattoni posta al ciglio della strada, per devozione o per commemorazione).
In questa definizione ed avendo usi simili, possiamo raggruppare tra i piloni anche:
- le Croci: in legno, pietra o ferro battuto infisse a terra o su colonne di pietra. La croce sostituisce l’albero sacro, come supporto del divino.
- Pali o colonne: composti da una base in pietra o marmo, con fusto alto e sottile in pietra lavorata, per lo più a sezione circolare, con capitello su cui solitamente poggia una statua.
- Pilastro: costruito in pietre mattoni e calce, su base quadrata, un corpo ripieno e racchiuso in alto da una cornice, sormontato dal tettuccio a piramide e dalla croce.
- Per giungere finalmente all’Edicola: piccola costruzione con tre pareti chiuse ed una aperta, in genere ad arco, coronata da cornice, da tettuccio a capanna e croce.
L’Edicola è una vera e propria cappella o altarino, talvolta con finestre laterali o in alcuni casi con una piccola tettoia antistante per far riposare il viandante prima di entrare.
L’origine di questa forma potrebbe risalire ai Romani, così come il nome: il termine edicola deriva infatti dal latino aedicula, diminutivo di aedes (= tempio) e significa piccolo tempio: indicava i tempietti che ospitavano la statua o la raffigurazione d’una divinità.
Il culto delle pietre, di cui l’Edicola ne è la forma più raffinata, è dunque antico come l’uomo e come il suo rapporto con la sacralità della vita.
FUNZIONI E LUOGHI DEI PILONI
Chiamati anche maestà, capitelli, madonnine, i piloni votivi non venivano costruiti in modo casuale.
Il luogo veniva scelto in base alla funzione del pilone, che era in generale di indicare la via. Come ometto era utile nei sentieri di montagna (e lo è tutt’ora) per confortare il viandante rassicurandolo sul fatto che stava seguendo il percorso corretto.
Bisogna ricordare che fino a non poco tempo fa si viaggiava: sovente a piedi, sovente per settimane, notti comprese e dormendo all’addiaccio o in rifugi, capanne o piccole cappelle. Questo non avveniva solo in montagna ma anche nelle nostre colline: per portare i prodotti ad una fiera nei pressi occorreva camminare a lungo e spesso, per prendere la via più breve, attraverso i boschi.
Le strade – se c’erano – erano dei semplici battuti di terra. Il pilone serviva quindi per rassicurare il viandante che la via che seguiva era corretta, per fargli prendere fiato, per offrire un conforto spirituale e il coraggio necessario per procedere nel cammino e superare le paure che un viaggio solitario poteva portare con sé.
Se si viaggiava col buio inoltrato (ed in inverno, prima della corrente elettrica non ci voleva molto), i piloni emergevano grazie ai lumini accesi e continuavano ad adempiere alla loro funzione.
La loro funzione di segnavia è ancor più evidente se sono edificati presso dei bivi o dei trivi, laddove, magari ancora oggi, ma asfaltata, la strada si divide in più ramificazioni. In questo caso il pilone riportava la concentrazione sulla meta del viandante che non rischiava di perdersi.
Venivano quindi costruiti in varie forme nelle campagne, ai margini dei campi, degli orti, delle rive, dei boschetti; lungo le strade che collegavano i villaggi, ai bivi e agli incroci; sui sentieri rocciosi e sulle vette innevate delle montagne.
PILONI “VOTIVI”
L’altra funzione assegnata alle edicole è di ex-voto, come l’aggettivo che li affianca lascerebbe dedurre.
Benchè non sempre al pilone corrisponde una storia di ex-voto, talvolta accade che così sia: il pilone allora contiene ringraziamenti di vario tipo come in tutte le cappelle votive e può essere associato non solo ad eventi miracolosi ma a vere e proprie apparizioni mariane.
Le dedicazioni infatti sono sopratutto legate alla figura di Maria o alla Sacra Famiglia (San Giuseppe col bambino o eventi come la fuga in Egitto); talvolta sono legate al patrono della comunità.
Con tali dedicazioni e come “segnavia” inseriti all’interno del paese anzichè nei campi servivano come punto di partenza, intermedio o arrivo delle processioni annuali legate alla protezione dei campi e del bestiame, come per esempio le Rogazioni sostituto cattolico delle precedenti festività legate alla Ruota dell’Anno della religione pagana.
Le stesse processioni sono antichissime forme di manifestazione di culto e di richiesta di intercessione al mondo degli Spiriti superiori.
LA MAGIA DEI PILONI
Grazie all’immaginario folklorico, che assegnava a particolari luoghi significati e valenze magiche, la comunità rurale poteva avere una mappatura degli spazi e del proprio territorio legata anche alla bontà di un’area o viceversa alla malsanità di un posto.
Così leggende, miti o costruzioni fisiche (edicole, ponti, cappelle…) avevano funzione di marcatura territoriale.
Il trivio in particolare (ovvero l’incrocio di tre strade, o meglio: la biforcazione di un percorso in due successive vie separate) è stato sin dall’antichità considerato luogo magico: secondo i Romani era presieduto dalla dea Ecate, nella sua funzione di protettrice dei crocicci era chiamata Ecate Trivia (trivium = crocicchio).
Qui venivano innalzate statue alla dea Triformis (raffigurata con tre teste o tre corpi) o costruiti dei tempietti (aediculae, appunto).
L’aspetto triplice del divino femminile era presente anche nelle Matres o Matronae culto di origine celtica diffuso in tutta l’Europa nordovest, compreso l’arco alpino italico. Esse rappresentavano tre donne, sovente sedute che incarnavano la ciclicictà della vita, lo scorrere del tempo, il passaggio Vita/Morte/Vita e per questo ne erano le protrettrici.
Il trivio, Ecate, il buio ed i boschi ci portano direttamente (e prendendo una ingiusta scorciatoia mitica) al folklore delle streghe o masche, a seconda del territorio preso in esame.
In questo senso i piloni venivano costruiti per proteggere i viaggiatori dalle minacce incombenti delle masche.
Secondo la tradizione le masche si incontravano di notte per praticare i loro riti. Per questo era indispensabile non uscire dai sentieri segnalati o viaggiare lontano da santuari e luoghi non benedetti.
Un’interessante testimonianza a riguardo è riportata da Alberto Borghini in un articolo scritto per l’univerità di Pisa, l’intervista alla sig.ra Margherita Amerio: Ferrere è terra di masche. C’è proprio la “valle delle masche” a Ferrere, ed è quella che parte da Ferrere per arrivare a Cisterna. Mentre alla Martinetta, che è una borgata di Ferrere, ci sono tanti piloni votivi ad uguale distanza e rappresentavano nell’antichità la “via crucis”. Ora, molti si sono rovinati nel tempo, ma narrano le persone anziane che essendo stato nascosto un “libro del comando” delle masche in uno di quei piloni, l’allora vicario del posto li fece abbattere per trovarlo. Che poi sia stato trovato e nascosto attualmente nella Curia di Cuneo è ancora tutto da verificare.” (Alberto Borghini, Dominio del metaforico e intertestualità folkoriche. Un esempio piemontese, Studi Linguistici e Filologici Online, Università di Pisa)
I piloni come luoghi magici o di potere si ritrova anche nell’ipotesi di alcuni studiosi che sostengono la presenza di falde acquifere ed incroci di vie d’acqua al di sotto di queste costruzioni. Tale presenza renderebbe il luogo energeticamente attivo e quindi in grado di modificare – mediante campi elettromagnetici – lo stato di alcuni elementi naturali, capacità che in antichità veniva sfruttata come forma di guarigione.
L’ANTICA RELIGIONE DELLA NATURA
Scrive Valeria Casini: Queste opere ci riportano alle radici stesse della civiltà alpina tradizionale, di cui costituiscono una delle espressioni più autentiche. Se solo ci si interroga sui motivi delle edificazioni e si analizzano i luoghi in cui sorgono, le tipologie architettoniche, le immagini dei santi raffigurati e le iscrizioni, talvolta originale commistione di espressioni dialettali e lingua italiana, risulta infatti chiaro il loro importante significato culturale e antropologico.
Un’analisi di questo tipo ci riporta ad una religiosità d’altri tempi, caratterizzata dal bisogno di protezione e dal rapporto di dipendenza e di timore che legava il montanaro alla natura, ma anche a porre in luce l’influenza ancora oggi esercitata dai culti precristiani e l’opera conformatrice della Chiesa, a seguito del concilio di Trento.” (Valeria Casini, Chi passa per questa via…, Priuli & Verlucca Ed. 2005)
Non si può svincolare una ricerca sui piloni votivi da una ricerca storicamente seria ed attendibile sui culti pre-cristiani (pagani e/o celtici) che hanno nutrito la cultura rurale dalla quale noi tutti proveniamo.
Benché questo legame sia quasi del tutto svanito nella memoria degli anziani, l’immaginario ed il folklore sono ancora lì, a nutrire quegli archetipi che, sin dalla preistoria, hanno consentito all’uomo di crearsi un’idea di divino e di stabilire con questo una relazione. Relazione che nelle culture rurali significava vita, abbondanza, nutrimento, non malattia.
In questo senso le espressioni del femminino sacro (presenti in tutte le culture religiose, cattolica compresa, ed ancor più nelle loro manifestazioni popolari e non istituzionali) sono da tenere nella dovuta considerazione.
Non a caso sovente i piloni sono dedicati alla Madonna, ovvero ad una figura di Mater che in ogni angolo del mondo ha provveduto a proteggere, guarire, aiutare il popolo che a lei si rivolge; una figura di Mater legata agli elementi ctoni come la Terra (le pietre o i mattoni) e l’Acqua (sorgenti, pozzi).
E non a caso era uso esclamare, giunti ad un pilone: “Passando per questa via, ti saluto o Madre mia”.
©2010 di Micaela Balìce per Laboratorio della Fabula – progetto Gocce di Memoria.
Qualsiasi riproduzione, senza esplicito consenso dell’autrice è vietata.
Immagini originali dell’autrice:
– Edicola Votiva ad Alessandria
– Ometto presso il Castello di Montségur, Francia
– Masso erratico presso la Precettoria di Sant’Antonio Ranverso (To)
– Via Crucis, Santuario di Crea (Al), Cappella delle nozze di Cana
– Lapis Longus, Chivasso (To)
Micaela Balìce
consulente, dottoressa in Pedagogia e Floriterapeuta. Lavoro nel campo della formazione e del benessere e sono libera ricercatrice tra miti, simboli, archetipi e medicina popolare. Autrice e poetessa.